Camminando sui Monti Sibillini

Spartito quasi musicale di una lunga storia

Preludio

Tra i miei programmi estivi, fatti di desidera avevo incluso il camminare sui Monti Sibillini.
Luoghi che mi sono sempre negato, per conflitti con altri esseri umani.

Accade che i pianeti si allineano e…

TAC ! Mi propongono di prendere in mano un cammino già avviato sui Sibillini. Si deve svolgere negli stessi giorni in cui avevo pensato di andare.
Mi preparo a organizzare il sopralluogo, consapevole di dover affrontare i nodi che avevo per tanto tempo tenuto ben stretti.

TAC !! Patrizia Vita, la prima persona che sento, ascolta i miei dubbi e i contrasti mi dice: vieni, ti posso ospitare e facciamo due chiacchiere.
Sento che i nodi sono meno stretti.
Vado solo, lo stato d’animo confuso.


Overture

Macerata. Silenzio, di un lock-down diverso: edifici puntellati, chiusi, aree recintate. Macerie. Nessuna persona.

TAC !!!  Tornano vecchie immagini del terremoto che mi rendo conto avevo oscurato.
Camminare però è sempre terapeutico, così con umiltà riprendo in mano il filo dei passi passati lasciato andare dopo la Lunga Marcia per L’Aquila del 2016 e mi avvio più lieve a vivere questa esperienza.

Saranno cinque giorni intensi di cammino. Trovo strade, sentieri, connessioni, persone con prospettive e iniziative per il futuro, trovo accoglienza, interesse e anche i ‘segni’ lasciati per il Cammino delle Terre Mutate.

Comincio a distinguere: il torto dalla ragione, il sano dal malato, il progetto dalle persone, mi chiarisco i passaggi, trovo i miei errori, comprendo quelli degli altri, anche se non sempre ne segue una mia personale assoluzione.

Faccio pace comunque con tutto questo, acuisco il malessere che mi portavo dietro aiutato dalla bellezza dei paesaggi di quella terra d’incanto scossa nell’umana vita dal sisma, anche lui naturale: come i monti, le valli, l’acqua, l’erba, le persone e i miei errori. 

Chiudo il sopralluogo, partito da Camerino, ad Arquata del Tronto (che esiste ancora solo su Google Maps…), vengo accolto e ospitato in un piccolo B&B, scambio storie con i proprietari. La loro casa è l’unica che ha resistito.

Sto bene.

Intermezzo

È la volta di portare un piccolo gruppo qui, sui monti: tema è l’esplorazione di quei luoghi.

Siamo in cinque: Paolo, Maria, Andrea, Mauro e io.

È il Tempo a cavallo di due mesi: settembre e ottobre. Ripercorriamo il tracciato del sopralluogo, piccole variazioni perché ci sia sempre un ampliamento nella conoscenza del territorio.
Le tappe impegnano un po’: la distanza e il dislivello sono superiori alla media.

Nonostante le mie attenzioni e i ‘trucchi’ messi in campo nei primi giorni, mi viene detto che vado un po’ troppo veloce, non come da tradizione “Vie dei Canti” (prendo nota), mi succede anche di ‘perdermi’ Andrea. Da lui imparerò: l’arte della lumaca (la canzone di Capossela l’avevo già imparata da un altro Andrea, in Liguria), le sue qualità:

Lentezza (è di gran lunga la persona più lenta a camminare che io abbia conosciuto).

Essenzialità (il suo zaino sfidava qualsiasi lista: quasi non c’era),

Contatto con la Terra (camminare con dei sandali al limite dell’usura, senza calze, con qualsiasi tempo e qualsiasi terreno è cosa che noi umani del trek non sappiamo cosa sia).

Paolo, Maria e Mauro saranno buoni compagni di cammino, pazienti e disponibili ad aiutare.

Con Maria abbiamo notato la dolcezza della cura familiare con cui l’ostessa di Ussita seguiva sua mamma, sola a cena dietro di noi: hai mangiato tutto? Vuoi altro? La signora anziana disorientata nello spazio nuovo del ristorante camminava tra i pensieri.

Con Mauro ci ripromettiamo di tornare perché a lui manca la parte di cielo, non prevista, ma così presente sopra di noi, così potente il suo richiamo, da non poter lasciare quieta un’anima che vi aspira.

Con Paolo registro la conoscenza. Lui è stato già con me in un altro cammino in Liguria, ricordo alcune sue storie che comincio a raccontare agli altri, poi mi fermo, mi ricordo che erano sue, lo guardo, sorrido e aspetto che le concluda lui. Paolo che ‘trovava’ nel cammino un luogo che vibrava con lui: qui mi fermerei, ci ha detto…

Questo succede quando qualcuno, camminando con te, supera gli strati superficiali dell’epidermide ed entra in contatto con una parte intima.

Questo succede quando il gruppo è di poche persone, ci si accorge gli uni degli altri.

I Sibillini sono il contorno d’eccellenza al nostro andare, ma non sono quinte di palcoscenico.
Sono vivi!
Cambiano le linee dei rilievi: verticali, curve, oblique, ora solitarie, ora accorpate.
Cambiano i paesaggi: radi, boschivi, sassosi, e poi stretti, aperti, vasti.
Cambiano i suoni: il vento misura tutte le scale, l’ultima ha l’energia di sollevarci. La pioggia ci accarezza e poi ci piega, fermandoci al suo passaggio inquieto. Il Silenzio ha il suono delle cime aguzze, dei monti imponenti che lambiscono il cielo e riempiono gli occhi.
Camminando così hai modo anche di dare senso al terremoto ché è della Terra anch’esso, parafrasando Giovanni Pascoli.

Chiuderemo il cammino tra le nuvole, un pezzetto d’inverno venuto in anticipo.
Chiuderemo il cammino con Andrea vicino chè le nubi impedivano la vista più lontana, dov’era sempre.
Chiuderemo il cammino con la promessa di ritornarci, a breve.

Finale

È l’estate di San Martino.
Il meteo dovrebbe essere benevolo.
Ho disegnato cinque percorsi per cinque giorni: i primi tre per conoscere e modificare il cammino proposto, renderlo più fluido, più connesso alla Terra, che al solo aspetto più tragico: il sisma. Negli ultimi due vorrei seguire il richiamo delle vette: dal basso in alto, di nuovo in basso, due anelli.
Ho invitato Mauro e l’Andrea di Genova a venire.
Ansie per l’incertezza di questi tempi e impegni familiari fermeranno loro, che mi vedranno andar di nuovo solo.

Cinque giorni di cammini che riempiono il Tempo-luce.
Cinque giorni di ostello che prende il Tempo-buio.
I primi tre seguo il ritmo delle nuvole e del Sole, delle gobbe morbide e continue che fanno meandri su cui camminare in basso e curiosi rilievi su cui dondolare passo e piedi.
Nei restanti due seguo l’idea di avvicinarmi alla montagna, camminare ai suoi piedi è come conversare con lei, poi comincio a salire senza fretta, ho scelto il pendio più dolce, fino al filo di cresta, gli occhi cuciono il basso e l’alto della natura, mentre spaziano.

Le cime del Redentore, del Vettore, della Punta del Diavolo, del Bove e le altre intrecciate al passaggio sono luoghi dove il desiderio di volare fa venire i brividi, come l’orizzonte a 360°: dal Tirreno all’Adriatico.
Il piacere dei lunghi anelli scelti sta nella camminata finale, senza fatica, in cui rivivi quel che è stato guardando la montagna dal di sotto. Poi fermarsi, sedersi e ascoltare un piano suonare mentre il Sole ti dà appuntamento a domani.
Il Tempo-buio l’ho trascorso cucinando su di un fornellino per la colazione e la cena, mangiando-leggendo-ascoltando-dormendo, ed è stato un Tempo amico del mio star solo.

E poi…

Non avrei potuto chiudere questa lunga storia senza passare a salutare Patrizia Vita a Ussita,  dopo il Monte Bove.
Patrizia alle cui parole, alla cui ospitalità, alla cui disponibilità devo tutto quel che è stato, poiché, sebbene mie le scelte, sono state sue le attenzioni che lo hanno reso possibile.
Mi ha accompagnato alla porta con un piccolo, impercettibile gesto di comiato: una carezza sulla spalla, che di questi tempi è cosa rara e incredibilmente preziosa.

Sono arrivato da lei con la luce del tramonto, sono uscito, dopo una lunga tisana aromatizzata di parole, nel buio.
Sereno di tornare, casa.